Funiculì funiculà, la prima funicolare

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Funiculì funiculà, la canzone del 1880

Una canzone è indissolubilmente legata al Vesuvio, alla nascita della prima funicolare sorta alle falde del vulcano.
Siamo nell’estate del 1880, al brindisi d’inaugurazione della prima funicolare italiana parteciparono autorità e personaggi politici.

Si pensò allora a qualcosa di accattivante, che potesse incoraggiare i partenopei a prendere la funicolare: venne commissionata al musicista Lucio Denza una canzone che potesse essere il simbolo di questo nuovo mezzo di trasporto e, con la penna del giornalista Peppino Turco, in dieci minuti nacque “Funiculì Funiculà

Fu quasi un inno al nuovo mezzo di trasporto pubblico, che i napoletani da allora scelsero per salire non solo sulle pendici del monte Somma ma, in seguito, anche per raggiungere i quartieri “alti” della città.

E allora… “jamm jamm ncpoppa jamme ja funiculì funiculà…”

Funiculì funiculà, la canzone del 1880 in onore della funicolare

La magnifica vista dal cratere del Vesuvio

L’ascesa alla sommità del Vesuvio è stata da sempre una grande attrattiva turistica.
Per anni, fino al XIX secolo, le guide del Vesuvio hanno trasportato i turisti sul cratere a bordo di muli, seggiolini e lettighe. 

Il percorso risultava impervio, lungo e faticoso, ma costituiva l’unica via d’accesso alla sommità del vulcano e all’Osservatorio Vesuviano.

Nella sottostante cartolina è ritratto un gruppo di persone munite di lettighe e muli che intraprendono l’ascesa alla sommità del cratere.

Verso il Vesuvio
Turisti accompagnati su lettighe e muli sul sentiero per il Vesuvio

Ed ora per gli appassionati ecco qui la canzone Funicilì Funiculà nella versione classica e napoletana e intramontabile di Sergio Bruni.

Funiculì Funiculà di Sergio Bruno

E sempre la canzone Funicilì Funiculà nella versione lirica del nostro Luciano Pavarotti nei secoli dei secoli per sempre nel nostro cuore, Grazie Luciano.

Funiculiì Funiculà di Luciano Pavarotti

Le nozze? Un terno a lotto…

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Le origini del nome Vico Bonafficiata

Nel 1520 durante l’estrazione del lotto furono scelte novanta ragazze senza marito tra le quali furono sorteggiati i “maritaggi”: si trattava di dare un corredo di nozze e quindi le fortunate che si aggiudicavano il premio erano chiamate “bonifficiate” cioè beneficate: da qui il nome del Vico Bonafficiata Vecchia, nel quartiere Montecalvario.

La tradizione del Lotto secondo Matilde Serao

“Non tutti si possono muovere ed allora un monello parte, va al più vicino posto del lotto e prende i numeri, tutti aspettano, il ragazzo torna correndo, affannato, si pianta alla bocca del vicolo e grida i numeri:24 69 49 8 65, tutti impallidiscono … Il popolo napoletano, che è sobrio, non si corrompe per l’acquavite, non muore di delirium tremens, esso si corrompe, muore per il lotto! Il lotto è l’acquavite di Napoli!”

E’ così che Matilde Serao ne “Il ventre di Napoli” considera il gioco del lotto, una specie di dipendenza patologica per il popolo partenopeo, una malattia contagiosa che ancor oggi colpisce tutti, benestanti e poveracci.

Come l’abitudine di trasformare in numeri sogni e fatti quotidiani, tragedie e storie curiose.

Pur di centrare il terno “secco” i napoletani di fine Ottocento “imparano a memoria la smorfia ossia La chiave dei sogni”, racconta la scrittrice, “Tutti gli avvenimenti, grandi e piccoli, sono considerati come una misteriosa fonte di guadagno. Muore una fanciulletta di tifo, la madre gioca i numeri , escono, ella esclama: M’ha fatte bbene pure murenne!”

Ciop&Kaf, l’arte urbana per Napoli

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Ciop&Kaf, writers napoletani

L’arte urbana napoletana è un arte liberamente espressa nei quartieri di Napoli, nascosta tra i vicoli stretti delle strade di Napoli, tra gli antichi portoni malridotti del centro storico, sulle mura un pò rovinate e antiche delle stradine disposte a griglia dai tempi del Re a Napoli.

Sembra un labirinto, ci si potrebbe giocare a nascondino, ma ogni angolo nasconde una sorpresa, magari un bella chiesa, una piccola cappella, un particolare antico e nascosto tra i panni stesi e da qualche anno a questa parte, anche le opere di questi due writers napoletani, Ciop&Kaf, due veri artisti napoletani, che con i loro disegni hanno portato a nuova luce portoni arrugginiti, portoni di palazzi malridotti, mure malconce e inguardabili.

E’ facile che stesso gli abitanti della zona chiedano ai due artisti, che ovviamente girano per il quartiere come semplici “faticatori” o “muratori” locali, di dipingere sul loro portone per dare un nuovo colore al grigio davanti alla loro finestra.

E’ un opera di recupero della città, un arte di riciclo gratuita a servizio dei napoletani, che i nostri autori si prestano gratuitamente a fare.

Ciop&Kaf, l’incontro

Una volta li incontrai, ero quasi emozionata e avrei voluto chiedergli un autografo, fargli un intervista, raccogliere i loro commenti, ma non ne ebbi il tempo, come sempre andavo di fretta.

Furono loro a farmi una domanda: “Cosa ci vede lei in questi disegni?” mi chiesero i due autori.
Avrei voluto chiedere loro se stavo parlando con Ciop oppure con Kaf, in ogni caso risposi vagamente che vedevo un messaggio di denuncia nei loro disegni.

In effetti alcune delle loro opere si presentano come se fossero una rappresentazione triste e macabra della realtà dei napoletani: ingabbiati, imprigionati, punte e aghi che spuntano ovunque, teste mozzate, chiodi e manette a polsi e caviglie.

Napoletani ingabbiati nella loro stessa prigione d’oro.

Altre loro opere, sono un messaggio di speranza, qualcuna come il cavaliere solitario, un combattente armato di arco e frecce, pronto a difendere lo spirito napoletano, fiero ed orgoglioso della sua patria e della sua città.

Cos’altro ci vedo?

All’inizio pensavo fosse una mappa: vieni qui ci sono case di ricchi, qui non c’è nulla è inulte che vieni, insomma una mappa del tesoro per dire dove andare a rubare.
Poi quest’idea è cambiata ed è stata stravolta, oppure chissà magari stesso loro hanno cambiato idea in corso d’opera.

#Orgogliosi dell’arte e della cultura napoletana!